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© GIANCARLOSCAPIN2009

Filosofia del mestiere

Nella mia vita ho incontrato artisti ed uomini illuminati, che vivevano fuori dal pensiero comune ed omologato della massa, i quali mi hanno aiutato a concepire diversamente il mio lavoro:mi hanno aiutato a vedere l’arte non come puro estetismo fine a se stesso; mi hanno insegnato che l’arte non è un insieme di creazioni atte a provocare shock e che essa non è comunicazione fra diverse sensibilità, ma è il mezzo per evocare l’anima delle cose e lo spirito della materia.

Ed io ho maturato la convinzione che l’arte è la stessa esistenza protesa verso l’unità del tutto. Per questo ho considerato l’arte ceramica non solo come espressione creativa, ma come una forma di terapia che porta alla liberazione e come un processo di unificazione fra l’oggetto ed il soggetto che lo crea.
Tutto va considerato in una visione unitaria, per cui la mia filosofia consiste nell’accompagnare la mia mente e i miei sensi nell’opera di trasformazione della terra-argilla in una continua elaborazione simbiotica quotidiana. Solo così posso fare arte ed esercitare il poiein greco, cioè quel fare che mi consente di acquisire la consapevolezza di essere io stesso opera d’arte quale sintesi di tecnica e poesia. Ciò che io creo non è altro che la proiezione del mondo poetico interiore che vive dentro di me.

Durante il mio lavoro cerco di far affiorare dal mio inconscio superiore tutti quei linguaggi archetipici che poi vanno a rivelarsi con forme e colori. Come artefice io non creo nella materia, ma materializzo il mio spirito, la mia percezione poetica delle cose e la mia visione introspettiva.
Mi piace considerare la terra come luogo di poesia, un luogo percepito vuoto ed aperto al possibile dove l’unico rischio che può contaminarla è la mia impronta. E questa impronta sulla materia è il marchio della mia dimensione spirituale. Ciò che io creo con la materia è esternazione del mio mondo interiore, spirituale e poetico, perché la poesia non si fa solo con le parole, ma con i colori, con i suoni, con la gestualità, con la danza e con la trasformazione di ogni tipo di materiale.

Mi sembra che l’artista contemporaneo abbia smarrito il linguaggio dei segni e dei simboli e che per compensazione subentri in lui l’aspetto ritualistico da sciamano con cui recita espressioni sensazionali. Io invece compio una ritualità solo nei limiti della tecnica favorendo piuttosto lo sviluppo dell’episteme, cioè dell’idea, della visione con gli occhi interiori dell’intelletto. La filosofia della mia arte sta nella metamorfosi, dove l’interazione delle molecole agiscono sui muscoli e sul sistema nervoso che, a loro volta, si attivano in una interrelazione di pulsioni emotive che trasformano anche chimicamente le componenti fisiche e psichiche del mio essere.
Quando la materia che lavoro subisce una metamorfosi anch’io vivo una metamorfosi parallela e reversibile fino a divenire una forma di body art, che non ha niente a che vedere con la epidermica e clownesca body art storicamente conosciuta. Il mio desiderio d’immortalità trova gratificazione quando, in un processo di immedesimazione, io divengo la materia che trasformo e nobilito e l’opera rappresenta la concentrazione del mio sentire poetico e del mio invisibile Sé superiore. Così lavorando mi trasformo in terapista ed esorcista di me stesso.

La spontaneità e l’immediatezza del mio gesto producono un vuoto mentale che per analogia e corrispondenza proietta un vuoto fisico e metafisico nella materia dove una concentrazione del valore simbolico e contenutistico insegue il movimento delle forme. Perché ogni forma tridimensionale, privata del colore, evidenzia la palpitazione vitale della creazione. E mentre il pensiero conserva l’idea stabile dell’intelletto come un cristallo con le sue sfaccettature, l’immaginazione è duttile ed in continuo movimento perseguendo gli archetipi universali che, come diceva lo stesso Gaston Bachelard, “i nostri occhi e le nostre mani immaginano”.